Il tempo sta passando ed il buio avvolge il nostro nido di vive allucinazioni, l'aria è ormai pesante, la luce risalta la densitˆ'88 del fumo e l'atmosfera ormai viziosa ci attacca. Dobbiamo andare è l'ora di fuggire. Con un balzo in aria ci togliamo di dosso l'uniforme compatta e aderente, subito ci buttiamo su i colori di cui siamo a disposizione nel tentativo di ravvivare un po' la nostra mente, i nostri condotti e la nostra tradizionale anima. Siamo sicuri di avere una meta e di conoscerne la strada. In realtà la meta è solo quella di riuscire a fuggire ed una volta fuori ci ritroviamo con nulla di fatto. Decidiamo di partire con il nostro mezzo niente male, che non fa troppo rumore. Nasce l'idea di andare in posti già sentiti nominare, dove tutti vanno per depositare la propria noia e la loro tristezza. Vista la situazione generale che regna all'interno del mezzo decidiamo d'inoltrarci nella "foresta sconosciuta" lontano dalla nostra capitale, dai bordelli, dalle brutte musiche, dai panni cuotidiani e dalle troppe luci. Il nostro viaggio continua così verso qualcosa di sconosciuto e poco affascinante. Qualcuno poi spremendo le proprie meningi, si ricorda che da quelle parti si trova un posticino niente male, dove una volta si è sfamato con dell'ottima cacciagione a buon mercato. Continuando a correre arriviamo finalmente alla vista del posto e giunti alla meta, ci fermiamo con molta voglia di distensione e pace. Con la fortuna che ci accompagna, naturalmente, il padrone fermandoci ci dice che quel giorno era chiuso, si scusa e ci manda verso nuovi pensieri. Subito scazzati e tremendamente nervosi ripartiamo decidendo di fermarci nel primo buco aperto. Dopo aver corso per parecchio tempo nell'oscurità della campagna uno di noi intravede una luce molto strana e così tutti decidiamo di raggiungerla per vedere di cosa si tratta. é una casetta bassa ed elegante con all'esterno una piccola porta che lascia trasparire dai suoi vecchi vetri scheggiati dal tempo una luce giallognola che si riflette sull'asfalto umido e corroso. Silenziosamente per non rompere l'incantesimo ci fermiamo e scendiamo nel mezzo. Subito entriamo e vediamo un lungo bancone che ricopre tutta una stanza nella sua lunghezza e su di esso, appoggiato, un vecchio signore dal viso violaceo. Da buon intenditore di vini stà sorseggiando un nero all'apparenza niente male. Come per magia il resto della stanza è vuota ma allo stesso alto e profondo e profondamente caldo. Subito ci viene incontro il padrone che ci chiede se desideriamo il caminetto acceso. Noi ci guardiamo quasi sorridendo e sedendoci su delle comode sedie di paglia chiediamo se è possibile mangiare qualche cosa. Il padrone subito pronto ad alta voce chiama una donna: "Agnese", probabilmente la sua donna. Immediatamente si apre una porta e ne spunta fuori una signora grassoccia con guance rosso fuoco e dei capelli biondi luccicanti mal curati. Lei viene subito da noi e come se sapesse già tutto ci dice che purtroppo le rimanevano solo degli affettati caldi e freddi, della polenta gialla e del formaggio; noi stremati dalla paranoia della ricerca accettiamo e ci facciamo portare un po' di tutto di ciò che restava. Nel frattempo si è avvicinato a noi il vecchio che prima era pesantemente appoggiato al bancone con il capo chino sul bicchiere. Dopo qualche momento di esitazione si avvicina ancor di più e ci dice: "Ho voglia di un po' di musica". Subito si blocca storcendo il collo e deglutendo la molta saliva che ha in bocca, come se gli venisse da vomitare e dello sforzo gli scendono le lacrime dagli occhi. Uomini che segnano l'erba che cresce, uomini che vivono nell'oscurità della loro esperienza, uomini che spesso sono saggi come colui che è nato cento generazioni fa. Ormai è da un po' che beviamo vino e che riempiamo la stanza di fumo e la fame comincia a scappare e ti fai coinvolgere dalle cose nuove e stupito guardi le persone a te aliene che rappresentano l'origine e l'originalità della moda anticonformista. Nel momento più teso succede sempre qualcosa di decisivo e a quel punto arriva lui, il padrone, si prende una sedia, prende una grossa valigia nera e ne estrae una vecchia fisarmonica scrostata. Subito comincia a suonare delle vecchie nenie folcloristiche appartenenti ad un periodo mai esistito, così si crea una nuova atmosfera ed Agnese aprendo le porte della cucina ci porta sul tavolo piatti fumanti e golosi e noi, più golosi dei piatti, iniziamo una grande abbuffata al ritmo di una giocosa musica. Salami caldi e appiccicosi che si spaccano al tatto delle nostre mani poco pratiche, bicchieri traboccanti, polenta fumante e voglia di divertimento alterano tutti assieme i nostri pensieri allontanando quelli più tristi. Lui si siede vicino a me ordinandosi della polenta e del formaggio rifiutando quello che io gli offro. I suoi occhi sono carichi di lacrime con moltissimi capillari rossastri che spuntano e si rituffano tra le dense catarrate giallognole. Viso secco scavato da rughe profonde che si fermano, come dei grossi fiumi in secca, davanti ai cronici punti neri, i peli spuntano dal naso come dei folti ciuffi d'erba e le labbra screpolate racchiudono da sempre il colore rosso del corposo vino. Lui mi appoggia lentamente una mano sulla spalla ed io pur avendo addosso un robusto maglione sento che la grossezza dei suoi calli quasi mi punge e così, incuriosito, sbirciando, guardo l'altra mano con cui lui mangia la polenta e vedo che è piena di profondi tagli mal rimarginati replicas de relojes suizos e di carnosi calli che segnano la sua dura carriera di essere. A bocca piena, sputando di qua e di lì mi dice: "Io ho 73 anni ma mi diverto come un bimbo e canto sempre anche non sapendo ciò che canto e voi con me dovete cantare ciò di cui non sapete." Si ferma, butta giù in un solo sorso l'ennesimo bicchiere di vino della giornata e asciugandosi la bocca facendo scivolare sulle labbra il braccio dal gomito al polso mi parla ancora e dice: "Io ti conosco sai, appena ti ho sentito parlare io ho capito chi sei e so che sei pronto ad andare di là, oppure a tornare di qua, come va la storia sai andare anche tu!" è giunta l'ora di andare e lui si alza dalla sedia e barcollando nella sua alterazione mi accompagna fuori da quel luogo fatato e mi saluta augurandomi buona fortuna. Io salgo sul mezzo e mi preparo per partire; poi prima che lui rientri gli chiedo: "Come ti chiami?" Lui si gira e sorridendomi dice: "Io mi chiamo Mario, É Mario Tavernaro!". |